Manifesto-appello agli Expat
Cerchiamo poeti per abolire i confini: poeti italiani all’estero come portatori sani di “contaminazione linguistica”, forse l’unica arma che ci potrà dare qualche speranza per un futuro di convivenza.
I flussi migratori andrebbero indagati e capiti anche per questo, per la capacità che hanno di far agire i naturali meccanismi di “contatto” tra le culture e quindi creare le condizioni per nuovi filoni culturali dando corpo a nuove risorse utili ad affrontare la complessità.
Definiremo questi luoghi, per forza di cose frequentati assiduamente dagli italiani all’estero, “aree di contatto”. Il “nuovo mondo” accade nelle aree di contatto. E’ lì che la relazione di vicinato diventa una relazione di vicinanza. E’ così che si crea un luogo davvero mondialista, oltre tutti i confini.
Del resto, se volessimo davvero esercitare uno sguardo metastorico risulterebbe fin troppo evidente una vicenda umana che vede sulla scena contemporaneamente tutti gli attori, i popoli, indistintamente e quindi se da una parte si innesca complessità dall’altra la cultura scala-mondo ha le condizioni per una soluzione della convivenza.
La nazione come tale diventa un luogo inutile e asfissiante. E’ prepotentemente cominciata la sua messa in discussione reale, e proprio a partire dalla lingua, anzi, dalle lingue in concerto tra loro. Ma il passaggio a una identità completa, organica, e funzionale è ancora lungo e tribolato.
Nel frattempo viviamo e ci impegniamo in queste aree di contatto con il solo obiettivo del confronto profondo e proficuo con le altre culture. E chi le pratica costantemente sembra avere un punto di vista avanzato sul futuro. La storia dei popoli è al lavoro oltre i loro confini.
Perché testare queste aree attraverso la poesia? Perché la poesia è forse ancora in grado di cullare la parola nuova e quindi apportando nuove acquisizioni cognitive e non.
La poesia è un pre-testo per il mondo, e forse davvero l’unico, per uscire dal caos gergale dei linguaggi quotidiani ormai tutti interni alla convenzione formale e iper-svalutata esercitata dai “massive” media. Linguaggi ben gestiti dal potere. Tutto è nei ruoli e nei sistemi, e quindi nell’autorità che li governa. Che prospettiva può avere davvero la lingua, che invece è qualcosa di vivo e quindi di emancipatorio per l’umanità?
Inseguirla nelle aree di contatto può essere interessante e produttivo, utile a generare nuova conoscenza.
C’è poi un motivo di contenuto che spinge a tentare l’impresa: capire il volto e i percorsi dei nuovi migranti italiani. Si può racchiudere in stereotipi oppure c’è davvero qualcosa di nuovo da scoprire utile a tutti? Possono i migranti italiani essere portatori di un contributo culturale di ritorno laddove l’Italia cominci ad intraprendere finalmente un urgente percorso di sprovincializzazione?
Ovviamente, tutto questo discorso non avrebbe senso se non valesse il reciproco: rappresentare, confrontare e valutare quello che i migranti stranieri producono e diffondono in Italia.
In altri termini, se vogliamo che i confini cambino funzione e che dunque da linee di demarcazione, atte a separare, si trasformino in giunzioni (simili, se non identiche, a quei punti di sutura in fila indiana che, al Pronto Soccorso, ricuciono insieme i due lembi di una ferita), dobbiamo di continuo mutar lingua alle parole, proprio come fanno i traduttori, e immergere nella poesia (come in un solvente chimico universale) tutte le tradizioni e culture del pianeta che abitiamo: perché solo così esse potranno disgregarsi e diluirsi nei propri componenti, o componimenti, più essenziali, per poi ricombinarsi variamente (e magari fondersi in nuovi, quanto auspicabili “organismi” semantico-grammaticali).
Chiudiamo con due citazioni, la prima di Emanuele Crialese e la seconda di Cesare Marchi.
“Mi piacciono le contaminazioni, termine che però spesso viene usato in accezione negativa. Credo sia molto importante per la razza umana mischiare i contorni, altrimenti rischiamo di diventare delle celle. Contaminandoci lo sguardo diventa più genuino: andare via da casa dà una nuova visione anche nel ritorno”.
“Una lingua che non si evolve e rifiuta ogni apporto esterno, è una lingua morta”.
Ps: Stiamo organizzando per la fine di dicembre un primo confronto (on line) allo scopo di dare avvio al progetto che prevede anche un appuntamento quindicinale su Radio Mir, una sorta di luogo radiofonico on line in cui diffondere il materiale poetico proveniente dalle “zone di contatto”. Potete comunicare il vostro interesse a partecipare scrivendo a: fa*******@gm***.com, pi************@al***.it
Fabio Sebastiani
Pietro Pancamo