“Non c’è male che duri 100 anni”. E’ festa grande nelle strade del Cile, da Arica a Punta Arenas. Il popolo cileno volta pagina e approva in un plebiscito di redigere una nuova Costituzione che mandi in soffitta quella di Pinochet.
Il responso delle urne è chiaro: il 78,27 % della popolazione ha votato a favore del cambio costituzionale.
Con quasi la stessa percentuale, ha vinto anche la seconda opzione: quella di dare vita ad una Convenzione Costituzionale con l’elezione diretta dei 155 costituenti (con parità tra donne e uomini e la presenza di rappresentanti dei Mapuche e degli altri popoli originari), che dovranno redigere la nuova Carta Magna. Per eleggerli, si dovrà però attendere aprile del 2021.
Lo zoccolo duro della destra pinochetista cavernicola porta a casa una secca sconfitta, con il 21,7 % dei suffragi e molti veleni interni che non gioveranno alla coesione del governo.
E’ un evento di portata storica per il Cile. Per quanto il governo e l’apparato repressivo della democra-tura cilena abbiano cercato di incanalare, persuadere e piegare le coscienze di chi si è ribellato a partire dal 18 ottobre 2019 contro il modello capitalista neo-liberale, i suoi abusi ed ingiustizie, il popolo cileno ha avviato con grande dignità un percorso di ricostruzione della sovranità popolare.
La celebrazione del referendum è frutto della immensa mobilitazione popolare che è stata ininterrottamente nelle piazze dall’ottobre 2019, senza la quale non sarebbe stata possibile, neanche lontanamente. Una mobilitazione che ha pagato un alto prezzo con più di 30 vite, migliaia di feriti, più di 10.000 arresti (in carcere ci sono ancora migliaia di persone), denunce di stupri e torture, più di 460 lesioni oculari da arma da fuoco. Il tutto con impunità praticamente garantita. Come ai “bei tempi”.
Ma nonostante la repressione brutale, questa mobilitazione ha saputo allargare il consenso oltre i tradizionali ambiti dei partiti, degli organismi a difesa dei diritti umani, ed anche dei “movimenti sociali”, con l’irruzione degli studenti, del grande e combattivo movimento delle donne, dell’ambientalismo, per il diritto alla casa. Particolare rilevanza ha avuto il movimento contro il sistema privato di pensioni che ha saputo coinvolgere il ceto medio, indebitato fino al collo e impoverito dalla crisi.
Anche grazie alla sua trasversalità, la mobilitazione è riuscita ad interpretare l’ “interesse generale”, contro lo status quo ed il modello. Un ruolo che comporta una enorme responsabilità per i mille soggetti coinvolti, viste le aspettative riposte, il gap sociale da colmare date le condizioni materiali, la rabbia accumulata quotidianamente e per anni dalle donne e dagli uomini privati dei diritti sociali di base, a partire dalla salute, educazione, ed il diritto ad una pensione degna di questo nome.
“Non abbiamo paura del virus, abbiamo paura della fame”
Dall’inizio della pandemia (che continua a mietere vittime) non è mancata la risposta solidale e di auto-aiuto nei quartieri popolari, con l’organizzazione spontanea di circa 400 “ollas comunes”(pentole comuni) che hanno provato a garantire cibo e speranza, organizzando una risposta sociale che non si vedeva dai tempi della dittatura. “Non abbiamo paura del virus, abbiamo paura della fame”, dicevano le prime mobilitazioni a Santiago.
Lo schiaffo al governo lo ha dato anche la cattiva gestione della pandemia (ad oggi circa 18.000 decessi e più di mezzo milione di contagiati, con una popolazione di 18 milioni), con diversi focolai attivi in molte province, con varie limitazioni alla mobilità e con il coprifuoco (dalle 22 alle 5) in vigore sin da marzo, più di sette mesi.
Tra gli “effetti collaterali” della forza delle mobilitazioni popolari, i salti mortali e le piroette di alcuni personaggi dell’estrema destra politica (come Joaquin Lavin e Pablo Longueira della UDI, storico partito del Pinochetismo), costretti a salire sul carro dei probabili vincitori, nel tentativo di non rimanere isolati più di quanto già siano. Salti mortai e piroette che hanno provocato ulteriori divisioni nelle destre e sollevano interrogativi sulla loro strategia.
Anche tra gli imprenditori si sono aperte diverse contraddizioni e figure di spicco avevano dichiarato il voto a favore del cambiamento costituzionale, per canalizzare le forti tensioni sociali.
Il governo subisce così la seconda sconfitta (dopo quella sul ritiro anticipato di una parte dei fondi pensione) ed esce ancora più debole dalle urne.
La “Costituzione” del tiranno
Grazie al golpe civico-militare del 1973, il Cile è stato il laboratorio mondiale di applicazione delle politiche neo-liberiste dei “Chicago boys”. Si trattava però di dargli “forza di legge” e costituzionalizzarle. Fu così che la Giunta Militare si auto-attribuì la facoltà costituente e delegò la redazione della Costituzione del 1980 a un pugno di fedelissimi alla dittatura civico-militare. Tra questi spiccava Jaime Guzmán – politico ed avvocato costituzionalista, uno dei conservatori più intelligenti e perfidi dell’intera storia cilena. Guzmán, che aveva una visione di futuro, scrisse una Carta Magna che trasformò la democrazia in un soprammobile e disegnò precisi meccanismi per “blindare” la Costituzione e non poterla cambiare. A partire dal perverso sistema elettorale binominale, dalle alte maggioranze necessarie e dal diritto di veto, dalla composizione della Corte Suprema e del Tribunale Costituzionale con i quali hanno puntualmente impedito qualsiasi disegno di legge che odorasse a giustizia sociale.
In piena dittatura, nel plebiscito-farsa dell’11 settembre 1980, in teoria il 65,71% degli elettori si espresse a favore di quel simulacro di nuova Costituzione. Tuttavia, l’assenza di un registro elettorale, la restrizione delle libertà pubbliche e le denunce di ex militari di avere votato più di una volta, hanno scoperchiato la illegittimità dei risultati. Il simulacro di Costituzione della dittatura civico-militare entrò in vigore l’11 marzo 1981.
Il testo originale consisteva in 120 articoli permanenti e 29 disposizioni transitorie.
Tra le sue “perle” vi erano l’esistenza di senatori designati a vita (tra cui Pinochet) che garantivano la maggioranza alle destre, il potere del Presidente della Giunta militare di sciogliere la Camera dei Deputati, la creazione del Consiglio di Sicurezza Nazionale (COSENA), l’inamovibilità dei Comandanti delle Forze Armate e il loro carattere di garanti dell’istituzionalità, il concetto chiave di “Stato sussidiario” al mercato, e l’incostituzionalità di organizzazioni, movimenti, partiti politici, destinati a “propagare dottrine che minacciano la famiglia, sostengono la violenza o una concezione della società, dello Stato o dell’ordinamento giuridico, di carattere totalitario o fondato sulla lotta di classe”, in particolare il marxismo ed il comunismo.
In nessuna Costituzione politica precedente, i militari erano “garanti”’ dell’istituzionalità, né esisteva il Consiglio di Sicurezza Nazionale, un’istituzione sinistra e cupa, più simile all’Inquisizione, che a un organo democratico.
E nella storia cilena, i vertici delle FF.AA. non avevano mai avuto la possibilità di un’autonomia assoluta, anche sulle questioni di bilancio. E invece, nell’attuale Costituzione dittatoriale, l’autonomia e la discrezionalità di spesa è “sancita” a vantaggio delle forze armate e dell’oligarchia economica, la vera padrona delle divise militari.
Oltre ai normali stanziamenti di bilancio, la dittatura riservò alle FF.AA. un ammontare pari al 10% degli introiti della vendita del rame, principale prodotto di esportazione del Cile, grazie ad una legge i cui contenuti erano segreti. Fiumi di denaro senza controllo che hanno prodotto diversi scandali per corruzione, conosciuti come “Milico-gate”.
Detto in altri termini, sia nelle sue origini che nella sua forma di ratifica, la Costituzione del 1980 è un atto coercitivo, giuridicamente nullo secondo i principi del diritto pubblico. La Costituzione era de facto, e la sua efficacia pratica era esclusivamente in funzione dei rapporti di forza che la sostenevano. Al momento della sua promulgazione, era chiaro il suo intento di proroga del regime militare e presagiva anni di dittatura. Le disposizioni transitorie (la costituzione effettiva) rendevano la stessa Carta quasi un mero esercizio semantico, che solo codificava il monopolio del potere esistente.
Le caratteristiche totalitarie e di difesa dello status quo dell’attuale simulacro di Carta Magna erano così profonde, che l’allora Presidente del Consiglio di Stato, Jorge Alessandri Rodríguez (non proprio un “sincero democratico”), si dimise nel luglio 1980: più del 50% delle sue proposte erano state respinte da Jaime Guzmán, il vero capo di governo di quegli anni. In particolare, Alessandri rinunciò per 3 articoli (93, 95 e 196), che attribuivano il potere alle FF.AA. e alle forze dell’ordine, e non al popolo sovrano, potere costituente originario. Al momento delle dimissioni, Alessandri dichiarò che “nessun civile che si rispetti può essere Presidente della Repubblica con gli antecedenti contenuti in questa Carta fondamentale”.
Nel nuovo plebiscito dell’ottobre 1988, la dittatura fu sconfitta nel tentativo di prolungare il mandato di Pinochet. La destra politica dovette accettare – obtorto collo – la restaurazione del sistema democratico istituzionale, ma stando molto attenta che non si cambiasse una virgola della Costituzione del tiranno nelle questioni fondamentali e non negoziabili, a favore dello zoccolo duro pinochetista e degli imprenditori, resi milionari grazie al saccheggio ed alle privatizzazioni della dittatura.
Stare al governo o mantenere il potere ?
In questi anni, le classi dominanti hanno fatto miracoli per preservare a tutti i costi leggi i cui unici obiettivi erano (e continuano ad essere) il consolidamento del progetto neoliberista attraverso il “diritto di veto”, insieme alla preservazione del ruolo delle FF.AA. e delle forze dell’ordine.
Certo, stare al governo è importante. Ma i pochi leader della destra che hanno una reale capacità ed intelligenza politica (ed economica) sono consapevoli che l’importante più che stare al governo, è mantenere il potere nelle loro mani. Parlo del potere militare, di quello mediatico e finanziario, ancora saldamente in mano a poche famiglie, “quelli di sempre”, che si possono contare sulle dita di meno di due mani.
L’importante per i settori ultra-liberisti è stato, semplicemente, mantenere indenni tutte le leggi create dai Chicago Boys durante la dittatura. Per far ciò, la Costituzione politica “pinochetista-guzmaniana” è stata uno strumento formidabile, certamente antidemocratico, ma ancora vigente, anche grazie a molti dirigenti dei governi di centrosinistra post-dittatura che hanno contribuito a “ritoccare” e “migliorare” il testo della dittatura.
Fin qui lo stato dell’arte.
Il braccio di ferro continuerà per evitare i molti trabocchetti posti al percorso costituente e non tutto è color di rosa. Avremo modo di tornarci.
Oggi il Cile volta pagina. Oggi è festa grande in tutto il Paese. A Santiago la festa è in Plaza Italia, ribattezzata Plaza de la Dignidad dai manifestanti. Da domani si apre un lungo processo costituente, ma la battaglia riprende con più forza e speranza. Non importa quanto tempo ci vorrà, nè gli alti e bassi possibili, nè quanto il processo risulterà difficile e complesso.
Oramai il dado è tratto.