La Commissione Europea ha pubblicato il 23 settembre il nuovo “Patto europeo sulle migrazioni e l’asilo”, presentandolo come una riforma radicale del sistema fino ad oggi vigente e “un nuovo inizio in materia di migrazione in Europa”. In realtà la lettura delle proposte conferma che non si va verso possibili soluzioni innovative, ma al contrario, a parte qualche novità minore, si torna a riprodurre la logica del Regolamento Dublino, degli hotspot, della chiusura delle frontiere, dell’esternalizzazione della responsabilità in paesi terzi, qualunque sia la situazione dei diritti umani in tali paesi.
Tra le criticità segnalate da numerosi osservatori con diverse posizioni e ruoli: rappresentanti di ong, partiti politici, ma anche organizzazioni religiose, si stagliano i seguenti:
- l ’Unione Europea mantiene, anzi rafforza il principio del primo paese d’ingresso a danno dei paesi con frontiere esterne e a danno di richiedenti asilo che molto spesso non hanno alcun legame con il primo paese. Il meccanismo “di solidarietà” non prevedo obbligo degli Stati di accogliere richiedenti da ricollocare. Possono scegliere tra le opzioni alternative al ricollocamento, “la sponsorship sui rimpatri”: ovvero di farsi carico delle espulsioni dal primo paese d ́approdo.
- La determinazione del diritto alla protezione si svolge, secondo la proposta, in moltissimo casi presso località chiuse in vicinanza dei confini in forma di “procedura alla frontiera”, entro 12 settimane, incluso il tempo necessario per la decisione su un ricorso. Il semplice fatto di appartenenza a una nazionalità per la quale meno di 20 % delle richieste d ́asilo, nella media dei paesi UE, vengono accolte in prima istanza, fa applicare automaticamente questa procedura speciale con garanzie ridotte.
- Durante questa procedura, il richiedente si trova in una specie di terra di nessuno. Il modello di hotspot viene moltiplicato e esteso.
- Tale procedura, se non vengono messi in atto efficaci meccanismi di feedback, rischia di produrre gravi danni dal punto di vista dei diritti umani.
- Innanzitutto perché viene espressamente detto che i richiedenti asilo non potranno accedere agli stati dell’UE prima di averla completata e pertanto essi dovranno essere detenuti, riproponendo di fatto il modello hotspot tipo Moria.
- In secondo luogo perché la necessità di “rapide decisioni di asilo o rimpatrio” comporterà che, nonostante vengano proposte eccezioni per i minori non accompagnati e i gruppi vulnerabili, siano proprio costoro, che spesso richiedono tempo per poter raccontare, ricostruire e vedere analizzata e adeguatamente valutata la propria storia, che rischiano di ritrovarsi a pagare il prezzo più alto.
- In terzo luogo perché allo stesso tempo, l’UE promuoverà accordi di riammissione, i cd “patti di partenariato” con i paesi terzi di provenienza dei migranti, senza tener in grande conto le violazioni dei diritti umani nei paesi di origine e di transito dei migranti e senza proporre nessuna traccia di “canali umanitari” di ingresso in Europa per coloro che fuggono da situazioni belliche o di crisi.
Se tanto numerosi sono i principali aspetti negativi, tra i pochi punti positivi segnaliamo
- L’affermazione del principio dei meaningful links (legami significativi) dei richiedenti asilo con un dato paese in modo da permettere che i richiedenti asilo possano scegliere, sia pure entro limiti ben definiti, il paese in cui essere ricollocati, comunque dietro autorizzazione, caso per caso, da parte di questo paese.
- L’affermazione che chi, come le ong, effettuano salvataggi in mare non può essere perseguito e criminalizzato
- L’importanza data al monitoraggio di tutti gli aspetti, compresi il monitoraggio del rispetto dei diritti fondamentali dei migranti e richiedenti asilo.
- La riduzione da 5 a 3 anni di residenza regolare di beneficiari di protezione come requisito per il permesso di soggiorno di lunga durata che permette la libera circolazione nella UE.A partire da queste analisi , proponiamo:
A) di affermare con forza delle posizioni di principio irrinunciabili, quali la contrarietà:
- alla detenzione come forma normale di “prima accoglienza” per i richiedenti asilo,
- alla filosofia di fondo del patto, della selezione tra gli ammessi all’ingresso in UE ei respinti su basi diverse da quelle della caratteristiche individuali e soggettive davalutare caso per caso;
- al principio ancora valido, nonostante le dichiarazioni, del paese di primo ingressocome paese su cui grava la procedura di asilo.
B) di lavorare con i paesi delle frontiere esterne dell’UE affinché, i ritardi delleprocedure di asilo, il rifiuto dei paesi ad accogliere e persino a rimpatriare i migranti che non sono giunti sul loro territorio, come stanno affermando i paesi Visegrad, non si traducano nella creazione sui loro territori di sistemi di permanenza di lungo periodo tipo Moria.
C) di proporre che ad effettuare la parte del monitoraggio relativa al rispetto dei diritti umani, prevista dal Patto, siano non le istituzioni europee o i paesi stessi, ma una rappresentanza qualificata delle organizzazioni di difesa e advocacy dei diritti umani, che potranno mettere a disposizione rilevatori, analisti dei dati, interpreti e mediatori di provata esperienza. In tal modo, mentre le autorità europee e gli stati membri potranno monitorare efficacemente il rispetto del Patto stesso, le organizzazioni di advocacy per i diritti dei migranti e dei richiedenti asilo potranno monitorare che i ritardi, le impreparazioni, e anche le diverse e talvolta opposte volontà politiche dei paesi UE non si traducano in violazioni dei diritti soprattutto e in primo luogo dei soggetti più vulnerabili, come troppo spesso è stato denunciato, sia nel caso delle frontiere marine che nel caso delle frontiere terresti dell’UE.
Solo in tal modo, per citare le parole della commissaria agli Affari interni con delega alla Migrazione Johansson, sarà possibile trovare “non una soluzione perfetta, ma una soluzione accettabile per tutti”, che comprenda, cioè non solo le istituzioni europee e i paesi membri, ma i migranti stessi.
Solo in tal modo la presunta solidarietà tra gli stati membri nella gestione della migrazione, potrà evitare che le azioni per contenere le persone in nuove zone franche di frontiera divengano la riproposizione aggiornata dell’‘approccio hotspot’, proposto dalla Commissione europea già nel 2015 con l’Agenda delle migrazioni e rivelatosi fallimentare dal punto di vista dei diritti umani.
Solo in tal modo infine il compromesso che il vicepresidente Margaritis Schinas, ammette di aver dovuto trovare, potrà essere salvato dall’attacco dei governi europei il cui unico obiettivo è ridurre il numero di beneficiari di protezione internazionale nel continente stanno già portando contro la proposta stessa di Patto.
Roma, ottobre 2020 – GREI250