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La governance nel servizio pubblico radiotelevisivo: esperienze a confronto

8 Maggio 2021 | Diritti, Mondo Digitale

di Michele Failla (Bruxelles)

Ormai da tempo, questione centrale nel dibattito pubblico è la riforma della governance della Rai, al fine di migliorare la qualità del servizio pubblico: numerose sono state, a tal proposito, le proposte di modifica dell’attuale assetto. In quest’ottica, può essere utile porre a confronto l’esperienza interna con quanto accade in altri Paesi europei quali Francia e Regno Unito.

In Italia, le norme che disciplinano la governance della concessionaria pubblica sono contenute nel D. Lgs.vo 31 luglio 2005, n. 177 (c.d. T.U. della Radiotelevisione), che ha recepito, senza cambiamenti di sorta, quanto già previsto dalla Legge 3 maggio 2004, n. 112 (c.d. Legge Gasparri). In modo precipuo, il titolo VIII del T.U. reca le norme in tema di “Servizio pubblico generale radiotelevisivo e disciplina della concessionaria” ed in specie, l’art. 49 detta le regole concernenti gli organi direttivi della RAI-Radiotelevisione italiana S.p.a.. Come noto, il processo di dismissione della partecipazione azionaria dello Stato, previsto dalla legge Gasparri, al fine di realizzare una società ad azionariato diffuso, non ha mai avuto luogo. Così continuano ad applicarsi le regole previste per la fase transitoria della privatizzazione, le quali prevedono che i nove membri del c.d.a. vengano nominati, da un lato, dalla Commissione parlamentare di indirizzo e vigilanza e, dall’altro, dal Ministero dell’economia. A tal proposito, l’art. 49 comma 9 stabilisce che: “Fino a che il numero delle azioni alienato non superi la quota del 10 per cento del capitale della RAI-Radiotelevisione italiana S.p.a., in considerazione dei rilevanti ed imprescindibili motivi di interesse generale connessi allo svolgimento del servizio pubblico generale radiotelevisivo da parte della concessionaria, ai fini della formulazione dell’unica lista di cui al comma 7, la Commissione parlamentare per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi indica sette membri eleggendoli con il voto limitato a uno; i restanti due membri, tra cui il presidente, sono invece indicati dal socio di maggioranza. La nomina del presidente diviene efficace dopo l’acquisizione del parere favorevole, espresso a maggioranza dei due terzi dei suoi componenti, della Commissione parlamentare per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi. In caso di dimissioni o impedimento permanente del presidente o di uno o più membri, i nuovi componenti sono nominati con le medesime procedure del presente comma entro i trenta giorni successivi alla data di comunicazione formale delle dimissioni presso la medesima Commissione”. Ed il comma 7 del medesimo articolo precisa che:” Il rappresentante del Ministero dell’economia e delle finanze nell’assemblea, in sede di nomina dei membri del consiglio di amministrazione e fino alla completa alienazione della partecipazione dello Stato, presenta una autonoma lista di candidati, indicando un numero massimo di candidati proporzionale al numero di azioni di cui e’ titolare lo Stato. Tale lista e’ formulata sulla base delle delibere della Commissione parlamentare per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi e delle indicazioni del Ministero dell’economia e delle finanze per l’immediata presentazione secondo le modalità e i criteri proporzionali di cui al comma 9″. Al c.d.a., poi, oltre alle funzioni di amministrazione, sono affidate anche quelle  di controllo e di garanzia circa il corretto adempimento delle finalità e degli obblighi del servizio pubblico generale radiotelevisivo. Infine, il comma 11 prevede che il direttore generale venga nominato dal c.d.a. d’intesa con l’assemblea (rectius il Ministero dell’economia) e che il mandato di quest’ultimo abbia la stessa durata di quello del consiglio (tre anni). Il comma 12, invece, indica in maniera assai dettagliata quelle che sono le funzioni minime del direttore generale. Ex multis si ricordano: il compito di rispondere al c.d.a. circa la gestione aziendale, nonché di sovraintendere l’organizzazione ed il funzionamento dell’azienda nei limiti di quanto fissato nelle direttive dal consiglio; quello di proporre al c.d.a. le nomine dei dirigenti; quello di proporre all’approvazione del c.d.a. gli atti ed i contratti aventi carattere strategico; quello di provvedere alla gestione del personale.

In merito ai profili descritti, si sono levate aspre critiche, soprattutto circa l’opportunità di conferire al Governo (Ministero dell’economia) il potere di nomina di una parte del c.d.a., compreso quello del presidente dello stesso. Si è evidenziato, infatti, come una siffatta scelta del legislatore disattenda quanto più volte affermato dalla Corte Costituzionale in modo inequivocabile: “gli organi direttivi dell’ente gestore (si tratti di ente pubblico o di concessionario privato purché appartenente alla mano pubblica) non devono essere costituiti in modo da rappresentare direttamente o indirettamente espressione, esclusiva o preponderante, del potere esecutivo e la loro struttura sia tale da garantirne l’obiettività” – (Sentenza C. Cost. n. 225 del 1974).

In Francia, la normativa rilevante in tema di governance delle società incaricate del servizio pubblico si rinviene nella legge n°86-1067 del 30 settembre 1986 e sue successive modificazioni. A titolo di chiarezza, si ricorda come il settore pubblico radiotelevisivo si componga, eccezion fatta per l’I.N.A. – Institut National Audiovisuel – (ente pubblico a carattere industriale e commerciale incaricato della conservazione degli archivi audiovisivi, nonché della valorizzazione del patrimonio audiovisivo nazionale), di società di diritto privato. In specie, l’art. 44 I prevede una società nazionale “France Télévisions” incaricata dell’ideazione e programmazione di emissioni televisive a carattere nazionale, regionale e locale, nonché delle emissioni radiofoniche d’oltremare. Lo Stato detiene direttamente l’intero capitale di siffatta società, soggetta alla disciplina delle società anonime, salvo le disposizioni contrarie, ed il cui statuto è approvato per decreto (art. 47). Il consiglio di amministrazione comprende, oltre il presidente, quattordici membri il cui mandato ha durata quinquennale. In particolare: due sono parlamentari designati dalle commissioni affari culturali di entrambe le assemblee parlamentari, cinque sono rappresentanti dello Stato, altri cinque sono personalità indipendenti nominate dal C.S.A. (Conseil Supérieur de l’Audiovisuel – si tratta dell’Autorità amministrativa indipendente, incaricata di sovraintendere il settore radiotelevisivo) e due sono costituiti da rappresentanti del personale (art. 47-1). Il presidente, poi, è nominato con decreto del consiglio dei ministri, a seguito del parere conforme del C.S.A. e delle commissioni culturali delle due assemblee parlamentari (art. 47-4) ed il suo mandato può essere ritirato solo con le medesime modalità previste per la sua nomina. “France Télévisions” detiene il capitale di quattro società nazionali incaricate della ideazione e programmazione di emissioni televisive e radiofoniche. Si tratta, nello specifico, di: “France 2”, le cui emissioni televisive sono diffuse nell’insieme del territorio metropolitano; “France 3”, le cui trasmissioni televisive sono diffuse tanto a livello nazionale, quanto a livello regionale e locale; “France 5”, incaricata di creare e programmare emissioni televisive a carattere educativi e culturale; “France Ô” c.d. R.F.O. , le cui trasmissioni radiofoniche e televisive (che possono comprendere anche quelle delle tre società su menzionate) sono diffuse nei territori d’oltremare. I c.d.a., escluso quello di R.F.O., di siffatte società sono presieduti dal presidente di “France Télévisions” e composti da sette membri (due parlamentari, due rappresentanti dello Stato, una personalità qualificata che deve essere membro del c.d.a. di “France Télévisions” e due rappresentanti del personale). Inoltre, i loro direttori generali sono nominati, dal c.d.a. di “France Télévisions”, su proposta del presidente di quest’ultima società. “France Télévisions”, pertanto, definisce gli orientamenti strategici del gruppo, coordina e promuove l’offerta dei servizi, guida lo sviluppo, gestisce gli affari comuni delle quattro società e ripartisce, tra queste, le risorse pubbliche ad essa destinate.

L’influenza del Governo sulle società nazionali di programma, nonché sull’I.N.A. avviene mediante differenti strumenti. In primo luogo, mediante il potere di approvazione degli statuti delle società di programma e dell’I.N.A., nonché di quello di nomina di un certo numero di consiglieri di amministrazione degli stessi organismi. In secondo luogo, mediante i c.d. “cahiers des charges”. L’art. 48 stabilisce, a tal riguardo, che tutte le società di cui all’art. 44, nonché l’I.N.A. (art. 49) siano sottoposti ad un “cahier des charges” fissato per decreto, previo parere del C.S.A.. Siffatti atti amministrativi definiscono le obbligazioni di ciascuna società e dell’I.N.A. ed, in modo particolare, quelle che sono legate alla loro missione educativa, culturale e sociale nonché agli imperativi della difesa nazionale, della sicurezza pubblica e della comunicazione governativa in tempo di crisi. Ed inoltre, da un lato, precisano la ripartizione delle responsabilità, all’interno della società, affinché la produzione e la programmazione sia rispettosa del pluralismo; dall’altro, le modalità di programmazione delle emissioni pubblicitarie e la parte massimale di pubblicità che può provenire da uno stesso inserzionista pubblicitario. Per quanto concerne, invece, il Parlamento si segnala, da una parte, il potere di nomina di una parte dei membri che compongono i c.d.a. delle società nazionali di programma e dell’I.N.A.; dall’altro il potere di controllo finanziario: l’art. 53, paragrafo III, stabilisce che ogni anno, in occasione dell’approvazione della legge finanziaria, il Parlamento, sulla base del rapporto di un membro di ciascuna delle commissioni di finanza delle due assemblee parlamentari, approvi la ripartizione, tra gli organismi del settore pubblico, del prodotto derivante dal canone. Il paragrafo I, del medesimo articolo, si occupa inoltre dei contratti di obiettivi e di mezzi, prevedendo che questi, prima della loro approvazione, siano trasmessi alle commissioni affari culturali e finanza dei due rami del parlamento. Stabilendo, al contempo, che i medesimi contratti possano anche formare oggetto di un dibattito parlamentare e di pareri espressi dalle commissioni suddette.

Per quel che concerne il Regno Unito, le norme fondamentali in merito alla governance della B.B.C. si rinvengono nella “Royal Charter for the continuance of the British Broadcasting Corporation”. Si tratta di un atto regio che rappresenta, al contempo, l’atto fondativo e lo statuto della concessionaria pubblica e la cui scelta non fu casuale. E’ stato infatti segnalato come, per il tramite di tale atto, si intese considerare l’apparato televisivo come “soggetto” salvaguardandone l’indipendenza dal Governo. Tuttavia, ciò ebbe come conseguenza anche quella di escludere un potere permanente, di indirizzo e di controllo, del Parlamento.

Ritornando alle regole dettate in merito all’organizzazione della B.B.C., la “Royal Charter” prevede la presenza di due organi distinti: il “B.B.C. Ttrust” e l’”Executive Board”). In generale, al “Trust” spetta il compito di fissare la direzione strategica della B.B.C., nonché la vigilanza generale dell’attività dell’“Executive Board” – tali compiti vengono esercitati nell’interesse pubblico ed, in particolare, nell’interesse degli utenti che pagano il canone (“interest licence fee payers”) –. Quest’ultimo, invece, è investito della responsabilità sia riguardo l’erogazione dei servizi, sulla base delle priorità fissate dal “B.B.C. Trust”, sia per quel che concerne la gestione operativa (art. 7). Tali due organi devono agire separatamente ed, inoltre, si precisa come il “B.B.C. Ttrust” debba mantenere la propria indipendenza dall’”Executive Board” e non possa esercitare le funzioni di quest’ultimo. In generale, al “B.B.C (artt. 8 e 9).

In merito al “B.B.C. Trust” – da ricordare che la parola “Trust” viene usata in senso atecnico (art. 12)  – l’art. 13 individua le regole circa la composizione e la nomina dei suoi membri: si prevede, al riguardo, che siffatto organo sia composto da un presidente – che può essere nominato presidente della B.B.C., ruolo che costituisce un mero titolo onorario – un vicepresidente e da dieci membri ordinari (quattro dei quali sono designati quali: “a) Trust member for England; b) Trust member for Scotland; c) Trust member for Wales; d) Trust member for Northern Ireland”). I “trustee” sono nominati mediante decreto ministeriale (“order in Council”) per una durata massima di cinque anni: si tratta pertanto di nomine di natura governativa. Vengono, inoltre, dettate tutta una serie di regole specifiche in merito alle cause di cessazione dall’ufficio, la remunerazione dei membri, nonché le regole di funzionamento del “Trust” e la possibilità per quest’ultimo di costituire dei comitati a cui delegare particolari funzioni. Tra queste possono ricordarsi le seguenti: “setting the overall strategic direction of B.B.C.; approving high-level strategy and budgets in respect of the B.B.C.’s services and acrtivities in the UK and overseas; assessing the performance of the Executive Board in delivering the B.B.C.’s services and activities and holding the Executive Board to account for its performance”.

Riguardo l’“Executive Board”, l’atto reale prevede che quest’ultimo sia formato da membri esecutivi e non esecutivi, il cui numero totale nonché la loro competenza esecutiva o meno siano determinati dallo stesso “Executive Board” con l’approvazione del “Trust” (art. 28). Questi sono formalmente nominati dall’”Executive Board” sulla base di una proposta del “Nomination Commettee” – comitato che deve essere creato in seno all’”Executive Board” al pari dell’”Audit Commette” e del “Remuneration Committee” (art. 35) – preventivamente approvata dal “B.B.C. Trust” (artt. 30 e 31).  Il presidente di tale organo, invece, è nominato dal “Trust” il quale può riconoscergli una capacità esecutiva (ed in tal caso rappresenta sempre il direttoregenerale) o meno (in tal caso diventa membro dell’“Executive Board” qualora non lo fosse già) (art. 29). Inoltre, quest’ultimo può essere presidente dei comitati previsti all’art. 35 ed il suo voto ha valore determinante. Gli articoli 32 e 33 prevedono, poi, disposizioni specifiche in merito alla durata della carica (stabilita nell’atto di nomina), la sua cessazione, nonché alla remunerazione del presidente e dei membri dell’“Executive Board”. Per completezza, si rammenta come la “Royal Charter” preveda l’istituzione di quattro “Audience Councils” ciascuno presieduto dal “Trust member” della nazione corrispondente, il cui scopo precipuo è quello di fornire delle valutazioni, dai diversi punti di vista degli utenti che pagano il canone, in merito al lavoro del “Trust” (art. 39) all’interno del Regno Unito. Inoltre, questi possono fornire il proprio parere al “Trust” sulla bontà delle modalità impiegate dalla B.B.C. per perseguire le proprie missioni di servizio pubblico, dal punto di vista degli utenti che pagano il canone, nonché per servire gli utenti, nelle diverse parti del paese. Infine l’art. 45 stabilisce che, ogni anno, il “Trust” e l’”Executive Board” debbano predisporre il bilancio annuale, accompagnato da un resoconto finanziario. Successivamente, ed entro sei mesi dalla fine del periodo al quale il bilancio si riferisce, tali documenti devono essere trasmessi al Ministro competente ed al Parlamento, nonché pubblicati. Il controllo più penetrante è pertanto effettuato dal Ministero della Cultura, Media e Sport e non dal Parlamento. E’, infatti, il Governo (in specie il Ministro competente) a finanziare la B.B.C. per consentirgli di fronte alle proprie obbligazioni di servizio pubblico.

Come emerge dall’analisi sin qui svolta, i tre sistemi analizzati presentano alcune differenze, talvolta anche nette, che tuttavia non impediscono di effettuare alcune considerazioni, avendo sempre a mente i rischi che possono derivare da un’analisi comparata. In generale, uno dei gli aspetti che merita di essere sottolineato è quello relativo alla penetrante ingerenza che il Governo può esercitare nella nomina degli organi di governo delle società concessionarie del servizio pubblico. In ciascun ordinamento, infatti, sono previste delle precipue norme che  consentono, almeno in via teorica, al potere esecutivo di giocare un ruolo fondamentale nell’organizzazione delle concessionarie pubbliche e, per tale via, influenzarne la gestione operativa. Se ciò può riscontrarsi in maniera assai evidente in Italia, con delle ricadute anche sulla qualità del servizio pubblico, lo stesso, in via di principio, può dirsi in merito alla B.B.C.. Infatti, nonostante quest’ultima venga indicata da molti quale esempio di imparzialità, correttezza, indipendenza e qualità dell’informazione fornita, non si deve dimenticare come ciò dipenda soprattutto da una diversa concezione del ruolo della concessionaria pubblica. E non già esclusivamente da una diversità delle regole predisposte all’organizzazione ed operatività di quest’ultima. Infatti, le regole dettate in merito alla governance della B.B.C. ben consentirebbero al Governo di influenzare le scelte operative della stessa, così finendo per intaccarne l’indipendenza e la qualità del servizio pubblico reso. Se ciò non accade, è pertanto principalmente da ricondursi ad una diversa concezione socio-culturale: sia in merito al ruolo che la concessionaria pubblica è chiamata a svolgere, che riguardo l’importanza del servizio pubblico da fornire agli utenti.

Per tale motivo, a mio parere, allorquando si riflette su una possibile modifica dell’attuale modello di governance della Rai, bisognerebbe evitare di assumere modelli stranieri (ad esempio quello della B.B.C.) quale meta verso cui tendere, senza tener conto della diversa realtà fattiva, sociale, culturale ed economica. Tutto ciò, infatti, non eliminerebbe i problemi che affliggono la concezione della concessionaria pubblica: non potrebbe, ad esempio, eliminarsi la logica delle lottizzazioni, che necessita una soluzione extranormativa. Meglio, allora, ragionare su soluzioni di tipo interno, peraltro, in alcuni casi, già previste da precedenti testi normativi. Mi riferisco, per esempio, alla riforma, mai attuata, contenuta nella cosiddetta Legge Maccanico: laddove si prevedeva che “la concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo e’ tenuta a presentare all’Autorità un piano per una ristrutturazione che consenta, pur nell’ambito dell’unitarietà del servizio pubblico, di trasformare una delle sue reti televisive in una emittente che non può avvalersi di risorse pubblicitarie”. Una simile riforma consentirebbe alla Rai di recuperare una maggiore autonomia operativa e gestionale; consentendo al contempo di elevare la qualità del servizio pubblico, dovendo prendere in considerazione, quale unico parametro di riferimento, l’interesse dei soggetti che pagano il canone – come peraltro accade nell’esperienza anglosassone.