di Marco Calabria Comune.info
Un contributo del sociologo e attivista Urugayano Raul Zibechi sulla rivolta e repressione in Colombia collaboratore de La Jornada in Messico
Lezioni dalla rivolta in Colombia
Ua settimana di sciopero generale con mobilitazioni che lasciano credere che questa volta le insurrezioni abbiano incrinato il modello di dominio amministrato dall’estrema destra di Álvaro Uribe. Il bilancio provvisorio è di circa 30 morti a causa della repressione della polizia, 10 violenze sessuali, 1.400 casi di brutalità da parte degli agenti con oltre 200 feriti e quasi mille arresti. Proviamo a fare qualche riflessione su questo imponente movimento che alimenta la speranza:
1. Il sistema capitalista è genocida e criminale, in modo particolare in questo momento di declino e nei paesi dell’América Latina. Il suo carattere non dipende da un qualche governo che amministra il modello, perché è un regime strutturalmente genocida in quanto si basa su una modalità di accumulazione per espropriazione e furto che può funzionare solo con la violenza, l’esclusione e l’emarginazione delle maggioranze.
La brutale repressione per mano dello Squadrone Mobile Antisommossa risponde al fatto che mezza Colombia, ma forse anche mezzo continente, è in eccesso dal punto di vista della logica del capitale. Bisogna disfarsene, oppure la gente va rinchiusa nei suoi quartieri/ghetto o anche uccisa, se si azzarda a protestare. Le esecuzioni sommarie, i crimini contro i giovani non sono dovuti a errori o deviazioni da parte di qualche uomo in divisa, sono politica dello Stato e del capitale.
https://youtu.be/IKHFT-yzNmw
Lezioni dalla rivolta in Colombi aRaúl Zibechi10 Maggio 2021
Le grandi proteste che si sono verificate nei giorni scorsi in Colombia hanno una portata estremamente significativa e inducono a riflessioni importanti. Da tempo Raúl Zibechi sostiene che il sistema non aspira più a integrare o addomesticare los de abajo, coloro che stanno sotto, perciò si dispone perfino a eliminare i manifestanti, quelli che considera terroristi. Lo si è visto con le ben più di cento persone fatte scomparire e con le vere e proprie esecuzioni compiute nelle strade colombiane. Non si è trattato di errori o comportamenti deviati, quella è la politica dello Stato al servizio dell’estrattivismo, la forma attuale dell’accumulazione del capitale, soprattutto (ma non solo) in América Latina. Per cambiare quella politica, non basterebbe sostituire un governo con un altro, perché stiamo entrando in un periodo di caos, in cui non esistono forze capaci di imporre un ordine che non sia quello dei cimiteri. Chi si oppone, in particolare le donne e i giovani, ha perso la paura. Siamo di fronte a un ricambio generazionale che insegna modi di fare diversi dai precedenti. Dobbiamo imparare a convivere con l’incertezza, la violenza sistemica e i permanenti tentativi di farci sparire. L’autonomia, nel caos sistemico, assume una forma diversa
La Minga indigena nella città di Cali. Foto tratta da enough is enoughUna settimana di sciopero generale con mobilitazioni che lasciano credere che questa volta le insurrezioni abbiano incrinato il modello di dominio amministrato dall’estrema destra di Álvaro Uribe. Il bilancio provvisorio è di circa 30 morti a causa della repressione della polizia, 10 violenze sessuali, 1.400 casi di brutalità da parte degli agenti con oltre 200 feriti e quasi mille arresti. Proviamo a fare qualche riflessione su questo imponente movimento che alimenta la speranza:
1. Il sistema capitalista è genocida e criminale, in modo particolare in questo momento di declino e nei paesi dell’América Latina. Il suo carattere non dipende da un qualche governo che amministra il modello, perché è un regime strutturalmente genocida in quanto si basa su una modalità di accumulazione per espropriazione e furto che può funzionare solo con la violenza, l’esclusione e l’emarginazione delle maggioranze.
La brutale repressione per mano dello Squadrone Mobile Antisommossa risponde al fatto che mezza Colombia, ma forse anche mezzo continente, è in eccesso dal punto di vista della logica del capitale. Bisogna disfarsene, oppure la gente va rinchiusa nei suoi quartieri/ghetto o anche uccisa, se si azzarda a protestare. Le esecuzioni sommarie, i crimini contro i giovani non sono dovuti a errori o deviazioni da parte di qualche uomo in divisa, sono politica dello Stato e del capitale.
“Se si presume che si verifichino atti di vandalismo, si suppone che le persone vengano catturate e portate davanti a un giudice, ma quello che abbiamo visto è che i manifestanti vengono giustiziati direttamente”, afferma il ricercatore colombiano Richard Tamayo Nieto. Il sistema non aspira più a integrare o addomesticare los de abajo, coloro che stanno sotto, perciò si dispone a eliminare i manifestanti, quelli che considera terroristi.
Nella misura in cui la popolazione in eccedenza comprende la metà del nostro continente, non ha il diritto di protestare, cosa che viene considerata un rischio per lo Stato e “le manifestazioni sociali devono essere affrontate militarmente”, osserva Tamayo. Trattandosi di una realtà strutturale, il governo che succederà a quello di Iván Duque, nella migliore delle ipotesi, potrebbe solo moderare un po’ la repressione.
2. Una volta che conosciamo il carattere genocida di quel che c’è sopra, bisognerà concentrarsi su quello che sta in basso. La cosa più rilevante è che centinaia di migliaia di giovani abbiano sfidato la repressione, lo stato di emergenza e la criminalità della polizia per sette giorni (almeno fino al 5 maggio). Questo è il cambiamento principale, in Colombia e nell’intera regione.
Siamo di fronte a un ricambio generazionale che insegna modi di fare diversi dai precedenti. Per lottare, resistere e ribellarsi al sistema non servono le avanguardie, che il più delle volte diventano ostacoli, giacché pretendono di dirigere, dai loro uffici, senza nemmeno farsi domande o ascoltare le persone che sono scese nelle strade. I partecipanti alle mobilitazioni di questi giorni hanno imparato a prendersi cura gli uni degli altri, perché appartenevano già a gruppi di affinità, artistici e di vicinato, in cui si socializzava.
In prima fila, con gli uomini, ci sono le giovani donne. Promuovono forme della protesta in cui non si cerca lo scontro, si fanno sentire per poter dire quello che pensano e difendersi collettivamente dagli assassini in divisa. Questa generazione sa cosa sta affrontando, ma ha perso la paura e fa risuonare un grido che sentiamo in tutte le geografie del nostro sud: “Sì, si può”.
3. Non c’è via d’uscita da questo modello senza potenti mobilitazioni in basso e a sinistra. Se ne esce solo con una crisi politica, perché coloro che traggono benefici dell’estrattivismo, più o meno il 30 per cento della società, difenderanno i loro privilegi con una violenza generalizzata.
Ciò di cui si tratta, più che di un cambio di governo, è di cambiare il modo di accumulazione che distrugge le società e l’ambiente. Se non fermiamo questo modello finanziario speculativo (industria mineraria, monoculture, mega-progetti e speculazione immobiliare), entreremo in un periodo di barbarie in cui noi dei due terzi della società saremo sottoposti a campi di concentramento a cielo aperto, mentre il restante terzo ci sorveglierà, mentre consuma e vota.
4. Non stiamo andando verso governi migliori, ma verso un periodo di ingovernabilità, al di là di chi stia al comando nei palazzi del governo. Chiunque vinca le elezioni non avrà riposo né tregua. Stiamo entrando in un periodo di caos, in cui non esistono forze capaci di imporre un ordine che non sia quello dei cimiteri.
Dalla scala globale e geopolitica fino all’angolo più remoto del pianeta, il disordine è diventato la norma, nella quotidianità; quella che l’EZLN chiama “tormenta”, provocata dall’inarrestabile vocazione predatoria dell’idra capitalista. È una sfida ai nostri saperi e alle forme di azione e agli obiettivi dei movimenti antisistemici che puntano alla presa del potere.
5. Noi, las e los de abajo, dobbiamo imparare a vivere e convivere con l’incertezza, la violenza sistemica e i permanenti tentativi di farci sparire. Il prenderci cura in modo collettivo gli uni degli altri deve essere messo al timone della nostra direzione di marcia, in spazi autocontrollati fuori dalla portata dei maschi armati del capitale. È questa la forma che l’autonomia assume durante il caos sistemico.
Fonte la Jornada. Versione originale in castigliano: Lecciones de la revuelta en Colombia: https://www.jornada.com.mx/2021/05/07/opinion/017a2pol
*La Minga: Deriva da un termine quechua e si riferisce al lavoro comunitario e collettivo caratterizzato quindi da solidarietà, collaborazione, condivisione, senso del bene comune. In origine si riferiva al lavoro agricolo. Viene oggi usato per attività, artistiche e non solo, dove predominano queste caratteristiche di condivisione e bene comune.