Pubblichiamo la quarta parte dell’intervista di Radio MIR a Eugenio Marino, dirigente nazionale del Partito Democratico, responsabile organizzazione per Sud e Isole.
La scorsa settimana abbiamo visto quali sono le linee guida che il Governo ha voluto indicare come simboliche, partendo da istruzione e ricerca per la prima riunione della Cabina di regia. Ora come si procede?
Diciamo che adesso occorre chiarire come verranno realizzati i bandi dei progetti e semplificarli il più possibile, come si sta facendo. E contemporaneamente delineare, in modo strategico e attraverso un piano nazionale, che tipo di politica industriale adottare per realizzare quei bandi. Quindi declinare una visione di filiere legata agli interessi strategici nazionali. Faccio l’esempio del trasporto: dobbiamo capire in che tipo di trasporto vogliamo investire. Se è l’elettrico, dobbiamo tener presente che in Italia le batterie non le produciamo e le importiamo, come non abbiamo ancora la componentistica. Quindi attrezzarci strategicamente per organizzare la filiera di questo tipo di produzione. Inoltre, nel momento in cui soddisfiamo la produzione e diffondiamo l’elettrico, dobbiamo tener presente la delicata questione dello smaltimento delle batterie, sapendo che non abbiamo impianti dedicati e che dunque va fatto un importante lavoro di programmazione anche in questa direzione. Se questo approccio lo immaginiamo per i diversi settori strategici, capiamo che si tratta di un lavoro imponente che corrisponde, già oggi, a 527 impegni assunti nel PNRR con l’Europa. Cioè 527 milestone da realizzare con una media temporale di circa uno ogni tre giorni: un lavoro impressionante e di non semplice realizzazione
Lei dice che sono impegni rilevanti e strategici e che sono centrali i bandi, ma l’impressione è che nel dibattito pubblico a cui assistiamo attraverso i talk televisivi questi temi non siano così rilevanti. Lei pensa vi siano rischi?
Beh, forse le tv sono più concentrate sul confronto dialettico di carattere più generale, che impedisce di scendere nello specifico. E così si perdono di vista gli obiettivi. Io, invece, osservo che c’è una “variabile rilevante” che pesa proprio sull’obiettivo prioritario del PNRR, cioè la capacità degli enti locali di partecipare ai bandi e realizzare i progetti in tempi dati.
E questa variabile – lo abbiamo già visto con la regione Sicilia dove sono stati bocciati 37 progetti – è ancor più centrale nel Mezzogiorno, soprattutto nei piccoli comuni, dove gli uffici tecnici spesso non hanno né le giuste competenze né l’organico per gestire il 40 per cento dei di circa 70 miliardi di euro, ossia tra il 34 e il 36 per cento dei fondi totali destinati all’Italia. Per questo il Governo sta assumendo degli “esperti” che devono supportare le amministrazioni al fine di far fronte al gap tecnico e amministrativo. Proprio ieri questo elemento, elaborato dall’Ufficio parlamentare di bilancio, è stato riportato anche nel memoriale presentato alla Commissione Bicamerale per l’attuazione del federalismo fiscale. Il documento fa riferimento ai settori strategici di competenza degli enti decentrati, cioè la sanità e i servizi sociali, tanto per fare un esempio. Ma io aggiungerei anche la cosiddetta Missione 5, relativa a “Inclusione e coesione” e che dovrà essere attivata soprattutto da regioni ed enti territoriali.
La settimana scorsa ci ha illustrato l’inciampo della Sicilia, ci sono altri casi come quello?
Mah, guardi, se consideriamo che oltre al PNRR è richiesto agli enti territoriali di realizzare anche altre opere, come gli interventi di altri 30, 6 miliardi previsti dal Fondo complementare e 13,5 miliardi di sovvenzioni previste dal React-Eu, il rischio che vedo è una mole di lavoro immensa che potrebbe mettere a rischio gli obiettivi. Sugli uffici tecnici degli enti locali graverà una tale mole di lavoro che sarà quasi inversamente proporzionale agli organici degli enti. Se noi pensiamo, ad esempio, alla sanità regionale, dove gli occupati sono passati dai 579 mila del 2010 ai 445 mila del 2019, capiamo di cosa sto parlando in termini di sottodimensionamento rispetto alla mole di lavoro in arrivo. In questo ambito, però, a compensare i rischi c’è il lavoro fatto dal Ministro Speranza con il Fondo sanitario nazionale previsto nella Manovra finanziaria. Speranza e il Governo hanno programmato un aumento del Fondo sanitario nazionale per il prossimo triennio che rappresenta “una prima positiva risposta dopo anni di tagli e definanziamento al Servizio Sanitario Nazionale pubblico”, come hanno spiegato i segretari confederali di Cgil, Cisl e Uil accogliendo positivamente l’incremento di 2 miliardi l’anno, dal 2022 al 2024 e previsto nella legge di Bilancio.
Si sa già come verranno utilizzate queste risorse in più?
Beh, intanto si può cominciare col dire che tutto ciò permette di guardare con maggior tranquillità al futuro e assicurare personale e stabilità agli investimenti a termine del PNRR di cui dicevo e sperare di potersi concentrare sul potenziamento dell’assistenza sociosanitaria territoriale e domiciliare – soprattutto nei piccoli centri delle aree interne e del Sud – e rivolta in particolare alle persone con malattie croniche e non autosufficienti. Poi si può prendere atto che è diventato possibile ribaltare le pesanti previsioni di riduzione della spesa sanitaria della Nadef e che si dovrà procedere anche dallo sblocco delle assunzioni di personale, evitando i rischi che accennavo e per ridurre le attuali lunghe liste di attesa formatesi anche a causa del blocco durante l’emergenza sanitaria. Tutti elementi di ottimismo e fiducia soprattutto se si pensa, come ha spiegato il Ministro Speranza, che fino a due anni fa “il Fondo sanitario nazionale aveva circa 114 miliardi di euro, mentre oggi siamo arrivati a 122, con una crescita in pochi mesi mai vista prima e che si trasformerà – cosa fondamentale – in investimenti permanenti”, poiché si aggiungono due miliardi l’anno, dal 2022 al 2024, quando si arriverà a un totale di 128 miliardi. Inoltre, ulteriori risorse sono destinate anche al fondo per i farmaci innovativi e alla spesa per vaccini e farmaci necessari per arginare la pandemia. E, infine, si è deciso di portare in via permanente a 12.000 l’anno le borse di studio per gli specializzandi in Medicina. Insomma, per concludere possiamo dire che questa pandemia e gli ultimi due governi hanno avuto il merito di trasformare il definanziamento costante del Servizio sanitario statale degli anni tra il 2010 e il 2019 in un brutto ricordo ormai superato, con una vera e propria inversione della rotta. E sta soprattutto agli enti locali la responsabilità di saper cogliere questa storica opportunità. Per farlo occorre che le risorse siano impiegate per una vera riforma del Servizio sanitario nazionale, con le risoluzione della desertificazione degli ospedali, l’assunzione dei medici specializzandi alla fine del percorso specialistico, il miglioramento dei livelli retributivi con il prossimo Contratto e l’esigibilità, in tutta Italia, dei nuovi Lea (i Livelli Essenziali di Assistenza), che sono fermi da ormai quasi cinque anni.